sezione 2 :arte letteraria

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    Il concorso è aperto. Postate qui i vostri lavori. Attenzione alle regole e in bocca la lupo!!
     
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  2. TheBioLau
     
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    Ecco la mia partecipazione, certo non rende come con la musica, però è un testo ispirato

    Behave

    Living through this fake emotion
    ear the whisper of my fear
    all this worlds without a past
    let me fly or disappear

    faith has gone, it takes me apart
    in this dumb and cruel chapter of life
    down and down, it makes me go down
    and I only want you to stay

    don't forget me in this fog
    don't forget me in these waves
    help me to overcome this maze
    help me to pass it by

    riding through this parched desert
    ear a whisper in my mind
    all this words I cannot understand
    eternally printed in my heart

    don't forget me in this fog
    don't forget me in these waves
    help me to overcome this maze
    help me to pass it by

    how can you afford to stay?
    if you can afford to stay
    how can you afford to stay?
    if you can afford to stay
    how can you afford to stay?
    if you can afford to stay

    don't forget me in this fog
    don't forget me in these waves
    help me to overcome this maze
    help me to pass it by

    traduzione:
    vivendo attraverso una finta emozione
    sento il sussurro della mia paura
    tutti questi mondi senza un passato
    lasciami volare o scomparire

    la fede è passata, mi ha smembrata
    in questo ottuso e crudele capitolo della vita
    mi ha portata sempre più giù
    e voglio solo che tu resti

    non dimenticarmi in questa nebbia
    non dimenticarmi in queste onde
    aiutami a uscire da questo labirinto
    aiutami a passarlo

    cavalcando attraverso questo deserto arido
    sento un sussurro nella mia mente
    tutte queste parole che non so capire
    impresse per sempre nel mio cuore

    non dimenticarmi in questa nebbia
    non dimenticarmi in queste onde
    aiutami a uscire da questo labirinto
    aiutami a passarlo

    come puoi permetterti di restare?
    se puoi permetterti di restare

    non dimenticarmi in questa nebbia
    non dimenticarmi in queste onde
    aiutami a uscire da questo labirinto
    aiutami a passarlo

    Dichiaro di essere l'autore dell’opera proposta e di essere l'unico titolare dei relativi diritti d’autore; di sollevare il forum e i suoi amministratori dalle responsabilità derivanti dalla pubblicazione di opere proposte per il presente concorso sulle quali terzi vantino diritti.
     
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  3. Morghâsh
     
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    Eccomi (faccina-ninja), attendo gli insulti ed eventuali lapidazioni...

    Addio

    A volte mi chiedo come sarebbe stato se non ti fossi tirato indietro.
    A volte mi chiedo come hai potuto dire certe parole importanti,
    per poi rimangiarti tutto come se niente fosse.
    A volte mi chiedo come sei riuscito a essere così protettivo,
    se veramente non te ne fregava niente.
    A volte mi chiedo come facevi ad avere quello sguardo,
    se stavi solo fingendo.
    A volte mi chiedo se ho fatto qualche errore,
    se sono stata troppo intraprendente,
    o se mi sono immaginata tutto.
    A volte penso al tempo che abbiamo passato insieme,
    è stato tutto buttato? Oppure non avevi nient'altro da fare?
    A volte tento di fingere che non m'importi, ma non è così.
    A volte penso che, forse, cambierai idea
    anche se infondo credo che non ci sarà più niente.



    Dichiaro di essere l'autore dell’opera proposta e di essere l'unico titolare dei relativi diritti d’autore; di sollevare il forum e i suoi amministratori dalle responsabilità derivanti dalla pubblicazione di opere proposte per il presente concorso sulle quali terzi vantino diritti.
     
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  4. biancasibert
     
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    Mi butto anche io... con un racconto romantico breve, riadattato da uno un po' più lungo che avevo scritto qualche anno fa... che imbarazzo! in_love
    peccato aver dovuto levare i corsivi... alcuni mi sarebbero "serviti" -_-
    Oh beh... spero che non vi sembri troppo idiota!!! :D

    _._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._.

    Scavo

    Silvia aveva finito di etichettare le casse coi reperti, quindi poteva fare pausa per cercare del caffè.
    Erano le sette di mattina, ma da almeno due ore lo scavo era in attività: gli archeologi lavorano d'estate e evitare il sole dell'una di pomeriggio è questione di vita o di morte quasi.
    Per quell’anno la campagna di scavo era finita: dopo due mesi era venuto il momento di impacchettare tutto per i laboratori, smontare le tende e tornarsene in valle, a casa, a fare una vera doccia!
    Silvia poteva tirare un sospiro di sollievo: niente morti, niente feriti gravi e nemmeno uno scheletro triturato dalle picconate assassine dei volontari che si erano avvicendati al lavoro.
    Il pascolo alpino che era stato campo base cominciava a sgomberarsi e riappariva, tra le macchie gialle delle tende, il verde intenso dell'erba. Che peccato doversene andare senza prima aver goduto un po’ della quiete e della bellezza di quelle foreste, sola, senza intorno quella dozzina di canticchiatori, urlatori e chiacchieratori. Ma magari poteva ancora fare qualche disegno, qualche schizzo dello scavo concluso che poteva essere utile alla pubblicazione… Deciso: si sarebbe fermata il pomeriggio, magari anche il giorno dopo. Una canadesina gliela avrebbero data e poteva farsi lasciare qualcosa delle provviste avanzate, il ruscello da cui avevano bevuto fino ad allora non si sarebbe prosciugato in poche ore (e se ancora non era morta di dissenteria…), e la doccia poteva anche aspettare. Ma aveva bisogno di qualcuno che tornasse su con la 4x4 per riprenderla.
    Si guardò attorno: le macchine erano tutte in fila, pronte per essere caricate di casse, zaini e tende. Bevve direttamente dalla caffettiera la goccia di caffè avanzata dalla colazione. Doveva farsi in mente un discorsetto molto convincente, se voleva che qualcuno credesse all’assoluta necessità di altri disegni e si prendesse la briga di venirla a recuperare.
    -Ti stai sbrodolando.-
    Lei riappoggiò di fretta la caffettiera e, tossendo, controllò la grossa macchia sulla maglietta bianca.
    -Mi stavi facendo strozzare!-.
    Pietro sollevò le sopracciglia con intento sarcastico, ma aveva un bel sorriso. Uno splendido sorriso.
    Era il direttore di scavo, oltre che collega al laboratorio, ma era con quelle settimane gomito a gomito che lo aveva conosciuto.
    Pietro era FANTASTICO.
    Capiva perfettamente tutte le occhiate adoranti delle studentesse, che avevano scavato come dannate senza mai fiatare, probabilmente solo per compiacerlo e avere un mezzo sorriso.
    La persona giusta a cui esporre la questione!
    -Pensavo di fermarmi questo pomeriggio e domattina per fare le ultime foto e qualche disegno… pensi che qualcuno poi potrebbe venire su a recuperarmi?-.
    Ecco ancora quel sorriso, e quello sguardo divertito per cui sarebbe valsa la pena di sbrodolarsi addosso qualsiasi cosa…
    -Non ci servono altri disegni.-.
    Una pausa in cui Silvia tenta di sfoderare gli occhi più limpidi, innocenti e puri del suo repertorio, e Pietro riprende con voce cospiratoria.
    -Ma mi fermo anch’io, la mia tenda è ancora su.- Era vero. -Avevo deciso di fermarmi, per godermi un po’ di pace, ma penso che la montagna sia sufficiente a soddisfare la voglia di solitudine di entrambi.-.
    Silvia fece per rifiutare... ma in fondo perché poi? Era vero che la montagna era grande abbastanza per tutti e due! E come non adorare ancora di più l’uomo che ha il tuo stesso preciso desiderio di godersi ancora un poco quei posti splendidi?
    -Grazie. Spero non ti dispiaccia…- gli occhi sorridenti più bruni di tutti gli orsi delle Alpi la zittirono.
    -Basta che ti tieni il sacco a pelo, il mio iglo è da tre, ci stiamo bene. E fatti lasciare qualcosa da mangiare.-.
    -Si, ci stavo pensando. Grazie.-
    Brava! Eccellente! Completa indifferenza all’idea di dividere con lui il metro quadro scarso della tendina… anche se i neuroni femmina del tuo cervello stanno ululando e strombazzando da hooligans sotto anfetamine!

    Pietro la guardò scappare via: andava matto per quella sua abitudine a sbrodolarsi e riempirsi di macchie, per la risata aperta, per le trecce impolverate, per il visetto pulito con le guance rosse e gli occhi scuri. Sembrava una ragazzina.
    Ma era adulta quanto lui e aveva sulle spalle altrettante responsabilità. Se l’era cavata alla grande sullo scavo: nessuno aveva osato disobbedirle o poltrire in sua presenza, come se quelle adorabili sopracciglia aggrottate fossero state una minaccia terrificante.
    Non era alta, ma stava dritta come una ballerina ed era solida e resistente, era sempre vestita di pantaloni da lavoro e t-shirt, ma aveva un qualcosa che gridava femminilità in ogni gesto... va bene: era sporca di terra da capo a piedi e come tutti sapeva di fango e sudore, ma era carina. Carina in modo strano, ma carina! Si sentiva scaldare dalla sua simpatia e dalla sua gentilezza, e indugiare di tanto in tanto ad osservarla mentre lavorava era stato inevitabile.
    Eppure aveva dovuto visualizzarla a dormire nella sua tenda per rendersi conto di quanto sarebbe stato difficile non cedere alla tentazione. Doveva solo decidere se aveva intenzione di provarci, a resistere.

    Il fuoco era ridotto al rossore delle braci, ma la luna crescente illuminava il prato e gli abeti bianchi attorno.
    Avevano addosso tutto quel che c'era di asciutto: fa freddo in montagna di notte.
    Guardavano le stelle. Erano stati in silenzio per un bel po’.
    Pietro sospirò -Le zanzare mi stanno dissanguando.-
    lei non levò gli occhi dal cielo: non poteva perdersi nessuna stella cadente.
    -Hanno punto anche me. Stanno festeggiando.-
    Pietro ridacchiò.
    -Già. È stato bello lavorare con te, sei stata in gamba.-
    lei fece spallucce
    -Grazie, anche per me è stato bello lavorare con te… Sei stato bravo, non mi è capitato spesso di andare così d’accordo con chi comanda.-
    Pietro sorrise, e anche al buio lei poté vedere il luccichio dei suoi occhi scuri, e il lampo bianco dei suoi denti. Dio quanto era bello. Seduto sull’erba tutto infagottato, non smetteva di essere perfetto. E quello sguardo... sembrava un lupo davanti a un agnello abbandonato. Forse era lì la sua magia: aveva la bellezza pericolosa di un predatore e invece restava gentile, amichevole, complice.
    Silvia rabbrividì: le sembrava di sentire dolore fisico, per quanto avrebbe desiderato abbracciarlo e fargli chissà ché!
    -A me non era mai successo di essere così felice di smettere di essere il capo di qualcuno.-
    Lo guardò interrogativa, ma sentiva un tremito di timore e trionfo.
    -Se ci avessi provato mentre eravamo al lavoro, sarebbe stato scorretto e imbarazzante.-.
    Era tesa, e Pietro non si mosse, ma certi segnali li sapeva riconoscere.
    Era quella l’occasione: si sarebbero incrociati in ufficio, ma non ci sarebbe più stata quell’intimità, non ci sarebbero state le montagne, i versi degli animali e la musica degli abeti nella brezza. Lei gli piaceva, lo mandava fuori di testa anche in braghe cargo e canottiera, sbrodolata e impolverata. Voleva baciare quelle labbra pulite, che avevano riso e chiacchierato con lui per tutta l’estate. Voleva toccare finalmente quel seno che aveva solo potuto intuire, voleva stringerla e morderla e mangiarla in un sol boccone. Subito.
    -Tu mi piaci, molto. Ogni singolo insetto, uccello e mammifero di questi boschi mi sta urlando che se non ci provo adesso sono un idiota.-.
    Silvia sorrise, chiuse gli occhi, e provò ad ascoltare. Il bosco risuonava di mille richiami: era incredibile quanto rumore potessero fare bestioline di giorno silenziose e invisibili.
    Se si sentiva il cuore che scoppiava in gola solo ad averlo vicino, probabilmente al primo bacio sarebbe morta d’infarto, e sarebbe finita così: inutile preoccuparsi.
    Riaprì gli occhi e si chinò verso di lui.
    -Io non capisco un cappero di quello che urlano.-.
    Pietro si decise a rischiare e voltò la testa, per avvicinare la bocca alla sua, lentamente, dandole tutto il tempo di scansarsi se avesse voluto.
    Ma Silvia lo guardò avvicinarsi al rallentatore e quando fu troppo vicino chiuse gli occhi con tutta la forza del mondo.
    _._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._.

    Dichiaro di essere l'autore dell’opera proposta e di essere l'unico titolare dei relativi diritti d’autore; di sollevare il forum e i suoi amministratori dalle responsabilità derivanti dalla pubblicazione di opere proposte per il presente concorso sulle quali terzi vantino diritti.
     
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    va bene.. eccomi! :)

    racconto breve, 1200 parole raggiunte al pelo! scritto qualche settimana fa.. il mio primo racconto.. e per ora l'unico! il secondo è fermo alla ventesima riga... la mia ispirazione è in ferie!!!!

    abbiate pietà ... :rolleyes: :rolleyes: :rolleyes: :rolleyes:

    --------------------------------------------
    TURN LEFT


    Una serata come tante. La solita noia, le solite cose da fare, i soliti pensieri. Ed era ora di cambiare, pensò Rodney guardando fuori dalla finestra. La città quella sera sembrava essersi presa una pausa di riflessione. C'erano poche auto in giro, e anche i passanti disertavano le vie semibuie di periferia dove lui, scrittore destinato a fare la fame in eterno, si era trasferito dopo aver rotto con Samantha. Sam, come la chiamavano tutti. Decisamente una bella ragazza, alta, sempre vestita secondo i canoni della moda, ben curata, con quello che serve nei punti giusti, un cervello poco usato ma, in compenso, un corpo decisamente sfruttato. E sfruttato era la parola giusta. Ci aveva pensato senza tanti complimenti il suo ex migliore amico, conosciuto nei corridoi dell'università, la blasonata Harvard dove i genitori, spinti da una voglia quasi ossessiva di avere un figlio futuro nobel o dirigente di una mega azienda, lo avevano costretto ad andare sperando prendesse un'altra strada. E invece la vita riserva sorniona le sue sorprese e lui, dopo essersi spinto verso l'unico cammino che papà James e mamma Rowena non avrebbero approvato mai, aveva perso miglior amico e fidanzata nel giro di una notte.
    Proprio una notte simile a quella, quando era rientrato da un seminario sulla scrittura creativa – rivelatosi poi una gran cazzata, ma Sam aveva tanto insistito perchè vi prendesse parte, e solo dopo ne aveva compreso appieno il motivo – li aveva scoperti, in auto sotto casa sua, a tramare loschi per mettere fine a 7 anni di fidanzamento apparentemente idilliaco. Capolinea, si prega di scendere!
    In fondo era stata una fortuna, aveva evitato di rimanere becco per il resto della vita. Ma bruciava, eccome se bruciava. Dopo le scenate dei genitori, l'abbandono dell'università prima della laurea e mille lavoretti mal pagati per tirare avanti, Sam era l'unica cosa bella che gli restava. O almeno, così aveva creduto.
    Si versò due dita di whisky scadente e si mise davanti al computer. Doveva finire l'articolo per quel giornaletto da quattro soldi. Come si chiamava? Non ricordava neppure il nome. A malapena ricordava la voce al telefono del capo redattore, e la richiesta vagamente assurda che gli era stata fatta. Un articolo di spalla, da pubblicare in una sezione del giornale che quasi nessuno legge, sulle condizioni dei barboni nella Central Station.
    Lavorava saltuariamente per quel giornale, ed ogni volta le commissioni erano improponibili. E non era dell'umore per scrivere quella sera. Di recente non lo era quasi mai. Come avrebbe sentenziato il suo amico Christian, quella sera aveva le sue cose. Che cazzone, pensò. Afferrò la giacca buttata in malo modo su una poltrona, l'unica della casa in verità, prese le chiavi e uscì! Da fuori la città sembrava meno morta. Forse è il caso di dare una pulita ai vetri delle finestre, pensò dandosi immediatamente del cretino per la stupida battuta che gli era uscita! Ma era Christian il Groucho dei due.
    Si incamminò verso nord, cercando di evitare i barboni coricati sul marciapiede, avvolti nei loro stracci lerci e coperti alla buona da cartoni. Altro che Central Station, era li in periferia che se la passavano peggio. Ed erano tantissimi.
    Ed era li appunto li con loro che sarebbe finito, a detta del padre. Ma era sopravvissuto e cercava di continuare a farlo. Svoltò l'angolo e andò a sbattere contro una tipa che arrivava trafelata. Lui rimase in piedi a fatica mentre lei rovinò a terra imprecando! Le porse la mano per aiutarla ad alzarsi ma lei la rifiutò con un gesto stizzito e si rialzò da sola. Stette un paio di secondi a fissarlo senza proferire parola e poi riprese la sua marcia verso chissà dove. Rodney per un attimo fu tentato di seguirla, poi pensò che magari la tipa non avrebbe gradito e poi che motivo aveva per seguirla? Riprese a camminare e svoltò nuovamente l'angolo. E la scena di prima si ripetè! Stessa ragazza, stessi gesti, stesse imprecazioni. Ancora una volta la mano tesa e rifiutata, lo sguardo e via. Si chiese perchè la tipa avesse fatto il giro dell'isolato di corsa per andare a sbattergli contro di nuovo. La gente è strana, pensò. Ma io non faccio eccezione. Sorrise e si rimise in marcia. Ed ecco che la scena si ripetè per la terza volta. Stesso tutto. Ora basta, pensò! Ora devo capire chi è e perchè si comporta così! Tendendole la mano, questa volta le afferrò il braccio per trattenerla e parlarle. Ma subito dopo aver sentito tra le mani il braccio di lei, come per magia lei si dileguò! Scomparsa in un attimo, come un fantasma che si dissolve. Rodney rimase impietrito. Non aveva bevuto granchè quella sera, non si faceva canne da mesi ne si calava acidi. In effetti non poteva permettersi nulla di tutto ciò. La gente intorno a lui continuava la sua strada, imperterrita. Nessuno sembrava aver notato ne lui ne la tipa. Decise di riprovarci. Angolo, tipa, caduta, braccio. Dissolvenza. Cazzo – urlò - E' ora di finirla!
    Rimase immobile per qualche secondo... afferrarla non poteva. Decise di seguirla, come avrebbe voluto fare la prima volta senza sapere il perchè. E così fece. La tipa arrivò, e tutto si ripetè per l'ennesima volta. L'ultima, giurò Rodney. Lei si allontanò e lui la seguì. Camminava a passo spedito ma non abbastanza per staccarlo. Ma era veloce, decisamente veloce. Continuò a camminare finchè non si fermò davanti ad un portone aperto. Il portone di casa sua. Rodney si chiese come mai proprio li. Lei si girò un attimo a guardarlo con aria triste, poi entrò nell'androne, prontamente seguita da lui sempre più incuriosito.
    Salì le scale e si fermò davanti alla porta del suo appartamento. Lui si chiese per un attimo se non avesse addirittura le chiavi di casa sua! In effetti non le aveva, scoprì subito, ed entrò svanendo attraverso la porta chiusa. Ed ecco la classica goccia di sudore freddo attraversargli la schiena. Era una cosa ricorrente nei suoi romanzetti mai pubblicati, rendeva bene secondo lui il senso di paura, anzi terrore allo stato puro. Prese le chiavi di casa con mani tremanti, aprì la porta ed entrò. Lei era in piedi davanti alla finestra di prima. Guardava fissa verso di lui. Poi voltò la testa verso la porta della cucina. E lui vide. Vide quello che aveva albergato nella sua mente per troppo tempo. Il suo corpo esanime appeso al lampadario. Ottimo quel lampadario, mi regge senza cedimenti, pensò e sorrise! Altra battuta del cavolo!
    Poi realizzò cosa stava succedendo e chi fosse lei. La sua Ispirazione. L'unica cosa che lo aveva tenuto in vita dopo la rottura con i suoi, e dopo che Sam se ne era andata. La sua amica fedele, che lo aveva aiutato a scegliere la sua strada, che aveva spesso benedetto ma più volte maledetto! L'unica che gli era rimasta vicina e che lo stava aiutando a capire. A vedere quello che era diventato. Un fallito senza futuro, solo e disperato. E morto suicida appeso ad un lampadario robusto ma di dubbio gusto! La ragazza di dissolse lentamente fissandolo con un mesto sorriso sulle labbra, questa volta per sempre. E lui chiuse gli occhi, finalmente in pace con il mondo.


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    Edited by steevie1977 - 15/10/2011, 10:56
     
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    Vittorio Matteucci Admin


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    Il mio racconto. Ho fatto un po' fatica a raggiungere le parole regolamentari: i miei di solito sono più brevi.


    DENTRO E FUORI

    Amava il teatro. L'aveva sempre amato.
    Molto più del cinema.
    Per un po' aveva pensato che fosse assuefazione: i suoi genitori l'avevano abituato al teatro fin da piccolo.
    Era orgoglioso di poter raccontare di aver visto in scena al San Babila i grandi attori del passato, quelli che sapevano strappare un applauso con un solo gesto o un movimento del volto. Allora non aveva capito tutto ciò che aveva visto in scena, ma l'aveva memorizzato perfettamente, per poterlo decodificare in futuro.
    La memoria l'aveva sempre aiutato molto, ricordava tutto quello che vedeva, sentiva, annusava, senza alcuno sforzo. Semplicemente, archiviava da qualche parte ogni informazione che gli arrivava per poi tirarla fuori al momento opportuno, automaticamente.
    Quando poi ci si metteva d'impegno e si sforzava di imprimere nella propria mente una situazione, un dialogo, un brano musicale, allora lo ricordava proprio esattamente ed era in grado di rievocarlo a comando.
    Aveva in archivio, quindi, grandi attori, grandi attrici, grandi opere teatrali.
    Ma non era quello il motivo che gli faceva amare così tanto il teatro, non il motivo principale almeno.
    Più tardi aveva capito: amava il teatro perché sentiva di farne parte.
    Il cinema lo relegava ad un ruolo passivo, di semplice ed inutile spettatore.
    Il teatro era diverso, ogni rappresentazione avveniva davanti a lui e sentiva di poterne cambiare il corso con le proprie interazioni: in teatro partecipava.
    Col tempo si accorse che il teatro e la vita non erano poi così diversi. La vita stessa era teatro e ogni giorno, che vi partecipasse o meno, avvenivano milioni di rappresentazioni.
    Il suo spirito di osservazione ne notava di continuo e ne aveva sempre notati, ma la relazione con un copione, con qualcosa che poteva anche essere rappresentato in scena consapevolmente lo colpì solo più tardi.
    Si costrinse allora a vedere il più possibile, a guardare davvero tutto quello che gli passava davanti, a non perdere nessuna delle rappresentazioni che gli si presentavano.
    Si accorse che non esiste copione che non sia già stato rappresentato nella vita e dalla vita.
    Si accorse che ogni dialogo sull'autobus, al supermercato, all'ufficio postale, celava un atto unico o una parte di copione. Ovunque ci fossero almeno due persone c'era teatro.
    Si accorse che ogni scena a cui assisteva assomigliava ad altre scene e anche a scene di pezzi teatrali. Si rese conto che questi ultimi erano soltanto una copia della realtà, un insieme di un susseguirsi di eventi che accadevano quotidianamente, e la bravura dell'autore era nel saperli cogliere e disporre cronologicamente per trarne una storia unica.
    Si accorse dell'enorme possibilità che aveva di poter vedere spettacoli in versione originale, liberi dall'intepretazione e dalla traduzione dell'autore.
    Come aveva sempre cercato, nei limiti del possibile, di leggere i classici in lingua originale per liberare i costrutti dalla maestria del traduttore, ma conoscere quelli voluti dall'autore, così poteva scoprire le scene originali della vita, senza l'intermediazione di scrittori e attori.
    Andò a teatro sempre meno, e soltanto per arricchire il suo archivio di 'citazioni', come ormai chiamava ogni spettacolo, nutrendosi sempre più, invece, delle rappresentazioni originali.
    Cominciò a frequentare i luoghi affollati che aveva sempre evitato: la compressione forzata dell'autobus nelle ore di punta, ad esempio. E rifuggendo dal proprio corpo e dal proprio disagio di passeggero bistrattato focalizzò la sua attenzione sugli altri.
    Annotò mentalmente il dialogo tra due signori apparentemente in forze che rivendicavano il diritto al posto disabili. Guardò con neutrale distacco gli animi accendersi sempre più e infine con vero divertimento il confronto tra i tesserini da disabili, tirati fuori da entrambi, per stabilire chi fosse più grave e con più diritto al posto. Si chiese se avrebbero tenuto conto anche del tipo di disabilità in relazione alla circostanza contingente, o no. L'arrivo della sua fermata gli tolse il piacere del finale.
    Anche questa era una cosa su cui aveva riflettuto (era in effetti una persona che rifletteva molto, anche troppo). Aveva riflettuto sull'interferenza che la sua vita e i suoi doveri avevano con il suo teatro quotidiano. Osservare le scene dall'inizio alla fine l'avrebbe costretto a porre fine alla propria vita per dedicarsi alla contemplazione di quella altrui. Non lo fece mai. La sua vita rimase sempre in primo piano, ma gettò un nuovo germe di approfondimento che prese piede in lui successivamente.
    Il passo successivo del suo approfondimento teatrale fu il notare che c'era teatro anche con una persona sola: c'erano caratteristi in ogni angolo, e c'erano i protagonisti dei monologhi o della mimica.
    Questa scoperta lo affrancò dal frequentare i luoghi affollati, ma ad acuire lo spirito di osservazione, l'immaginazione e la fantasia.
    Un semplice incontro casuale gli poteva aprire un mondo intero di storie e di significati.
    La vecchina che aspettava l'autobus (sempre l'autobus, segno che la vita di città non ne può fare a meno) con le sporte della Coop, ad esempio. Ne aveva due, una per mano. La sinistra notevolmente più pesante della destra. Se ne chiese il motivo e cercò di rispondersi: forse era mancina e reggeva meglio i pesi con la sinistra, forse perché a destra aveva anche la borsa e il peso di borsa più sporta andava a bilanciare l'altra sporta. Forse la cassiera le aveva passato i prodotti troppo velocemente ed aveva riempito le sporte a caso per fare in fretta. Forse aveva separato i generi acquistati preferendo l'omogeneità di prodotto al peso. Ciascuna interpretazione apriva una storia diversa da raccontare per proseguire: una povera vecchina sofferente, una signora ben organizzata e ordinata, una donna che sapeva usare entrambe le braccia con uguale efficacia. E le sporte, quelle orrende sporte in plastica biodegradabile con un'aria così fragile, avrebbero retto il peso fino a casa? O si sarebbero biodegradate sulla soglia, sulle scale, o peggio ancora, sulla strada o sull'autobus?
    Aveva abbandonato la vecchina da molto tempo, passando a piedi per raggiungere la sua meta, ma questa nuova abilità di costruire scene lo aveva tenuto impegnato per molto tempo dopo l'incontro. Gli era bastato vederla per un attimo per cogliere dei particolari e su questi costruire una storia.
    Stava sviando, non era più un imparziale osservatore della realtà, ma un autore delle storie che preferiva. Si era ribellato agli autori soltanto per sostituirsi a loro.
    Non più pubblico, ma autore, un ruolo certamente più importante!
    Ma dopo decine e centinaia di esercizi di scrittura fece un ulteriore balzo avanti.
    Si accorse che lui, spettatore di tante rappresentazioni, altrettante ne interpretava da protagonista.
    Iniziò a vedere la propria vita dall'esterno, oltre che a viverla dall'interno.
    Quella volta che era andato in treno a Napoli, ad esempio, e aveva notato come fosse difficile attraversare il piazzale della stazione con le auto che ignoravano le strisce pedonali. Cercava di crearsi un varco, e allo stesso tempo si guardava danzare tra il marciapiede e la strada, incapace di proseguire.
    I due aspetti convivevano,ma non riuscì mai a renderli contemporanei.
    O viveva normalmente e non si osservava vivere, oppure osservava, ma rendendo la vita una insieme di movimenti meccanici senz'anima. La sua mente, per quanto brillante, non poteva dare coscienza all'agire e contemporaneamente dare coscienza all'osservare.
    Riuscì nel tempo a rendere il passaggio tra i due processi così rapido e frequente da poterli considerare entrambi continui e permanenti, ma sapeva che era solo un'approssimazione di quello che accadeva davvero.
    In realtà i due ruoli erano sempre alternativi, ma con un'alternanza perfetta.
    In questo modo non ebbe più bisogno di inventare i finali che non riusciva a vedere: li viveva da protagonista e li osservava fino alla fine.
    Ma questa abilità non gli procurò la felicità, anzi lo devastò.
    Quando il suo amore finì, soffrì.
    E soffrì ancora, guardandosi soffrire.


    Dichiaro di essere l'autore dell’opera proposta e di essere l'unico titolare dei relativi diritti d’autore, di sollevare il forum e i suoi amministratori dalle responsabilità derivanti dalla pubblicazione di opere proposte per il presente concorso sulle quali terzi vantino diritti.

    Edited by Andracass - 31/10/2011, 12:10
     
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    CONCORSO CHIUSO!

    E ORA.. SI VOTA NEI POST SONDAGGI!!
     
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6 replies since 30/9/2011, 23:02   213 views
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